Libero arbitrio e nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione
di Flaminia Bolzan e Chiara Penna
La società è composta da persone e non certo da corpi in movimento.
I movimenti, che spesso causano danni da prevenire, sono al contrario avvertiti come delle manifestazioni di scelte e di intenzioni molto più importanti del movimento fisico attraverso il quale si manifestano.
Ad esempio, se veniamo colpiti da una persona, non pensiamo a questa solo come a un corpo che ci ha causato sofferenza, ma per noi sarà importante comprendere il motivo di tale colpo: se, infatti, il colpo è intenzionale, tenderemo ad esprimere un giudizio morale nei confronti di chi ha agito, provando anche timore e risentimento. Diversamente, nell’ipotesi in cui il colpo, benché più forte, sia accidentale, tenderemo a giustificare l’azione.
Il diritto penale e la criminologia riflettono proprio su queste distinzioni, cioè sulla facoltà degli uomini di autodeterminarsi secondo una libera e totale scelta della propria volontà, sul perché di tali decisioni e dunque sul libero arbitrio e sull’imputabilità.
Per analizzare il pensiero degli studiosi sul punto, bisogna partire da quanto ritenuto dalla Scuola classica, che fonda l’imputabilità proprio sul libero arbitrio. Secondo tale indirizzo, la pena in quanto castigo per il male commesso, ha senso se l’uomo ha volontariamente e consapevolmente scelto la violazione della norma
Perché la volontà sia colpevole, infatti, l’autore del reato deve avere la concreta capacità di intendere il disvalore etico-sociale delle proprie azioni e di determinarsi liberamente sottraendosi all’influsso dei fattori interni ed esterni.
Da questo deriva che gli individui affetti da anomalie psichiche, dunque privi della libertà di scelta fra il bene e il male, non possono essere puniti.
La Scuola classica si impone, pertanto, rivendicando e proteggendo i diritti individuali contro gli abusi e i soprusi dell’autorità, trascurando però la difesa sociale.
Successivamente, la Scuola positiva come indirizzo criminologico, afferma il metodo di indagine induttivo-sperimentale, reagendo anche all’affievolirsi della difesa sociale al fine di ristabilire un equilibrio fra garanzie individuali e garanzie sociali nel campo della giustizia penale, muovendo anche della inefficacia dell’allora vigente sistema penale in relazione all’aumento del crimine.
Per i positivisti, infatti, il delitto non è il prodotto di una scelta libera e responsabile del soggetto, bensì di un triplice ordine di cause: antropologiche, fisiche e sociali.
Mentre la Scuola classica considera, dunque, il reato come entità giuridica astratta separata dall’agente, per la concezione positivista il reato è fatto umano individuale, indice rivelatore di una personalità socialmente pericolosa.
Per tale ragione l’attenzione del diritto penale si sposta sulla personalità del delinquente in concreto, dunque dalla colpevolezza per il fatto alla pericolosità sociale dell’autore, intesa come probabilità che il soggetto “per certe cause” sia spinto a commettere fatti criminosi.
Ed ecco che il principio di responsabilità individuale è sostituito dal principio di responsabilità sociale per cui non ha più senso castigare con la pena il reo, “perché fatalmente spinto da forze che agiscono dentro e fuori di lui” e scopo dei provvedimenti repressivi diventa la difesa sociale.
Coloro che delinquono devono, pertanto, essere sottoposti a misure di sicurezza volte a prevenire ulteriori manifestazioni criminose e a favorire eventualmente il loro reinserimento nella vita sociale.
Date queste premesse la Scuola positiva arriva, però, inevitabilmente a negare la stessa categoria dell’imputabilità e la distinzione fra soggetti imputabili e non imputabili.
Per il diritto, in realtà, è necessario fissare un limite al di là del quale inizia la così detta follia, ciò al fine di concepire l’imputabilità come normale facoltà di determinarsi.
Imputabile sarebbe dunque solo chi reagisce normalmente, cioè l’uomo sano e maturo: se manca la normalità, manca la ragione stessa del punire.
Questo può generare diversità di vedute poiché non vuol dire che i soggetti considerati capaci ai sensi del diritto penale siano necessariamente normali anche per le altre scienze, soprattutto se si tiene conto che la stessa psicologia moderna esclude che il concetto di normalità possa essere determinato con esattezza.
Riconoscendo dunque, il concetto di libertà di volere e dunque le distinzioni fra imputabile (normale o suscettibile di intimidazione) e non imputabile (anormale o non suscettibile di intimidazione), si presuppone che se due soggetti posti di fronte alla stessa offesa, uno uccide ed altri no, questo avviene perché l’uno vuole uccidere e l’altro non vuole perché in quel momento, nell’uno, l’idea omicida costituisce il motivo maggiore, e nell’altro no, e forse non si è nemmeno presentata.
Appare pertanto indispensabile considerare il fatto che chiunque, in condizioni di “normalità”, possa agire diversamente da come eventualmente ha agito nelle medesime condizioni anche al fine di poter comminare una pena con funzione rieducative, posta l’esclusione che quest’ultima possa avere funzione intimidatoria.
Tutto quanto sinora affermato vale necessariamente anche nel piano della realtà così detta virtuale, che sta prendendo sempre più piede e rilevanza nella società attuale, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto comunicativo.
Per quanto le nuove tecnologie possano, dunque, influenzare o favorire la diffusione di comportamenti considerati devianti, soprattutto fra gli adolescenti, non ci sono dubbi sul fatto che riguardo ai criteri di valutazione di quanto si manifesta nel comportamento, esso dipenda sempre da una libera scelta.
Accettare, infatti, che il comportamento di un soggetto sia conseguenza esclusiva di fattori esterni al soggetto stesso che agisce, comporta l’accettazione di una visione deterministica degli eventi e dunque dell’idea che tutte le cose, sia gli eventi della natura che i fatti umani, siano rigorosamente necessitate e determinate.
Anche se quando tale comportamento contrario alla norma riguarda gli adolescenti è certamente tutto molto più difficile da valutare.
Considerato in ogni caso che la funzione della legislazione penale è preventiva, che la retribuzione non è lo scopo della legislazione penale e che il sistema penale deve mirare non solo ai fini di prevenzione, ma alla rieducazione, non esprimendo riprovazione morale, se un soggetto non ha la capacità e l’opportunità di adattare il proprio comportamento al diritto, non dovrebbe essere punito, anche se dannoso alla società stessa.
Note
- Secondo Carrara, uno dei massimi rappresentanti della Scuola classica, “il diritto è congenito all’uomo perché dato da Dio all’umanità fin dal primo momento della sua creazione”. Cfr. Francesco Carrara, Programma del corso di diritto criminale, prefazione alla V edizione, vol. I, Fratelli Cammelli, Firenze 1897, p.10.
- Ferrando Mantovani, Diritto penale, Cedam, Padova 1992, p. 560.
- Raul Alberto Frosali, Sistema penale italiano, vol.I, Utet, Torino 1958, pp. 36-37.
- Enrico Ferri, fondatore della Scuola positiva, individuò, nel suo libro Sociologia criminale (vol. 1, Utet, Torino 1929) tre categorie di fattori del reato:
- antropologici, distinti nelle tre sottoclassi della “costituzione organica”(caratteri somatici), della “costituzione psichica” (intelletto, volontà, sentimento) e delle “condizioni bio-sociali” (classe sociale, stato civile, professione, ecc.);
- fisici (clima, natura del suolo, ecc.);
- sociali (densità demografica, religione, costume, politica, ecc.).
- Mantovani, Diritto penale cit., p. 562.
- Nel 1878 Enrico Ferri pubblica La teoria dell’imputabilità e la negazione del libero arbitrio, in cui raccoglie tutte le prove che le diverse scienze offrono per dimostrare l’inconsistenza del libero arbitrio.
- F. Mantovani, Diritto penale cit., pp. 567; dello stesso autore, Il problema della criminalità, Cedam, Padova 1984, p. 40: la Nuova difesa sociale “ricevette la sua prima consacrazione internazionale con la istituzione nel 1948 della Sezione di difesa sociale delle Nazioni Unite e si sviluppò soprattutto per iniziativa della Societé international de défence sociale, fondata nello stesso anno”.
- Francesco Antolisei, Manuale di diritto penale, Pt. gen., Giuffrè, Milano 2000, pp. 610-612.
- Antolisei, op. cit., p.611.