Specchi neri e balene blu: il vuoto dell’iperconnessione
Abstract XXXI Congresso Società Italiana di Criminologia, Siena 26-28 Ottobre 2017
di Flaminia Bolzan e Chiara Penna
Le nostre angosce, le nostre perversioni, i desideri irrealizzabili e le cattive abitudini apparentemente più banali si trasformano nelle conseguenze estreme del nostro rapporto con la tecnologia di massa, mostrandoci le diverse facce di un mondo all’insegna dell’interconnessione continua e della condivisione ad ogni costo.
Ad interrompere per pochi istanti le meraviglie dei dispositivi elettronici, costringendoci a guardare il nostro riflesso sfocato dentro lo schermo nero, è la serie tv britannica “Black mirror” , che evidenzia la costruzione metafisica di una realtà che ha contorni nuovi ma che non esiste.
Il bersaglio di Black Mirror non è la tecnologia in sé, ma alcune sue applicazioni ed implicazioni, mostrando una lucidità di analisi impressionante, se non addirittura spaventosa ed efficace, nel trattare temi come il cyberbullismo, la pedofilia in rete, i crimini informatici, il terrorismo e l’eutanasia.
Guardare le cose fa sicuramente più effetto di ogni spiegazione scientifica o pseudo tale: episodio 2 della prima stagione di quello che è semplicemente “lo specchio nero”, scuro come la mente dell’essere umano.
Nessun complottismo, è l’evoluzione. Tutti iper connessi, non solo i ragazzini, non solo gli adolescenti, ma anche noi adulti, quelli nati a cavallo tra l’analogico e il digitale, coinvolti un passettino per volta.
E’ facile usare la rete per le ricerche, è semplicissimo condividere quello che vogliamo che gli altri vedano di noi. Abbiamo paura del terrorismo e non abbiamo più la pazienza di leggere, non siamo capaci di emozionarci davanti a un tramonto perché siamo troppo occupati a cercare l’inquadratura migliore, di Zygmunt Bauman ci piace citare la parola “liquido” riferita alla società, ma senza sapere cosa c’è dietro.
Siamo quelli dell’uso e del consumo immediato, siamo pagine di Instagram piene e cuori vuoti.
La spiegazione? Lo stato d’animo. Quello stesso che un adolescente prova nel momento in cui viene ingaggiato ad esempio in una sfida al suicidio.
Il senso? E’ proprio dare un senso quando questo non si trova in altro modo.
È la sensazione del vuoto, quella che si prova quando si guarda giù da un precipizio alto centinaia di metri e si è soli. Quella che fa tornare con la mente al vissuto peggiore della nostra vita, la sensazione pervasiva in cui la percezione è di totale isolamento. Impossibilità di scegliere. Impossibilità di comunicare. Disagio. Blocco fisico e mentale. Nessuno strumento a disposizione.
Il vuoto è quello che fa paura e l’iperstimolazione che la tecnologia e la rete garantiscono diventano il veicolo per colmarlo.
Ci stiamo tutti vendendo ad una logica perversa. Comprendiamo questo e avremo vinto noi, andiamo avanti sulla strada sbagliata e non avremo più strumenti per fermare una deriva annunciata e raccontata da una serie tv fatta di tante storie di futuri distopici e incentrate sul rapporto perverso tra l’uomo, vittima dell’uso della tecnologia, e la tecnologia stessa.