Dalle vulnerabilità ai conflitti sociali. L’Honour Killing

Dalle vulnerabilità ai conflitti sociali. L’Honour Killing

È sempre più difficile contestare che parlare di immigrazione vuol dire anche evocare una costellazione di persistenti e radicati conflitti.

L’immigrato è un soggetto che vive il sofferto distacco di chi si separa dagli affetti, dalle relazioni sociali, dal rapporto con l’ambiente del paese di origine e si trova nel paese di accoglienza perché costretto dalla povertà e dalla fame. Questo fa sì che egli viva da un lato il legame con la madrepatria e dall’altro la frattura, contrasto questo, a cui seguono la difficoltà dell’accettazione da parte del paese d’accoglienza nonché dell’inserimento nel diverso contesto sociale.

Il confitto è dunque qualcosa di intrinseco nell’immigrato il quale, se da una parte rifiuta il proprio paese di origine, dall’altra oppone la propria cultura alla società di accoglienza per rivendicare la propria identità.

Le dinamiche conflittuali che interessano sono, dunque, di carattere culturale, economico, politico e religioso, in quanto aspetti che costituiscono convinzioni identitarie radicate e difficilmente negoziabili.

Da qui il rischio di conflittualità sociale, che si manifesta non solo in problemi di natura economica, sfruttamento del lavoro sommerso, criminalità organizzata, precaria convivenza fra immigrati e segmenti di popolazione locale e marginalità sociale, ma anche in atti di violenza quali gli omicidi in nome dell’onore.

L’ honour killing è definito dall’antropologo Unni Wikan, professore presso l’università di Oslo, come un omicidio condotto su commissione da parte della famiglia estesa, per ristabilire l’onore dopo che la famiglia è stata disonorata e che ha come motivo scatenante anche solo un semplice pettegolezzo.

Come mostra l’analisi di più di cinquanta delitti d’onore, la spiegazione sottesa va ricercata in una motivazione religiosa o culturale, che evidenzia come tali delitti differiscano in modo significativo da atti di comune violenza domestica: il motivo in questi casi è il ripulire un presunto disonore.

Per quanto riguarda la dinamica, si evidenzia come si arrivi ad avvisare la vittima ripetutamente che nel caso in cui disonorasse la famiglia verrà uccisa, mentre al momento del fatto i soggetti coinvolti sono: padri, madri, cugini maschi, zii ed a volte persino nonni che commettono l’omicidio dopo aver emesso la “sentenza”.

Alcune madri collaborano all’omicidio di prima persona assistendo nel passaggio all’atto ed volte sono coinvolti anche i vicini di casa, che spesso impediscono alla vittima di fuggire, riferiscono alla famiglia dove si trova e conseguentemente cospirano al fine di ostacolare le investigazioni di polizia; non solo, la famiglia estesa e la comunità valorizzano il delitto d’onore riconoscendo l’azione e non mostrando pentimento.

Particolarmente efferata appare poi la dinamica omicidiaria: la vittima è spesso stuprata, bruciata viva, lapidata o picchiata a morte, scannata, decapitata, pugnalata, seppellita viva, costretta al suicidio segregata in una stanza per giorni con armi o cosparsa di olio bollente.

Le famiglie non desiderano portare ulteriore attenzione sulla loro vergogna, non cooperano nelle ricerche e negano i crimini d’onore completamente, affermando che la vittima, la cui età media è di 21,5 anni,  è andata dispersa o che si è suicidata.

Vittime sono, infatti, giovani donne ammazzate per essersi dimostrate “troppo occidentali” e per aver resistito o disobbedito alle aspettative culturali o religiose della comunità. Essere “troppo occidentale” significa essere troppo indipendenti, non sufficientemente asservite, rifiutare di indossare una varietà di abiti tipici dei paesi di origine, desiderare un’educazione ed una carriera avanzate, avere amici o un fidanzato non appartenente alla comunità, desiderare di scegliere il proprio marito.

Ma anche aver commesso presunte “inadeguatezze sessuali” quando si è state stuprate o si hanno avute presunte relazioni extra-coniugali oppure, semplicemente, quando a causa di un banale pettegolezzo si è considerate come “promiscue”.

Questi valori culturali, etnici o tribali, spesso restano non condannati dai leader nelle comunità immigrate in Occidente, che al contrario, mantengono il silenzio su tutte le questioni religiose, culturali o comunitarie definite sensibili, esaltando la famiglia che con la brutale esecuzione ha ristabilito l’onore perduto.

Circostanza, questa, che ovviamente non riguarda i consociati uomini, i quali sono autorizzati a vestire alla maniera occidentale, ad avvicinarsi alla cultura del paese d’accoglienza e ad utilizzarne le tecnologie.

È chiaro che le giovani donne uccise in modo particolarmente crudele per onore, poiché tentate da idee occidentali, vengono punite poiché il desiderio di inserirsi nel paese d’accoglienza nella speranza di fuggire vite di subordinazione, rappresenta un rifiuto ed una messa in discussione dell’identità del gruppo sociale di appartenenza.

La paura del delitto d’onore, costituisce, pertanto, una vera e propria lezione per altre femmine immigrate, dalle quali ci si aspetta che vivano in modo subordinato e segregato rispetto alle tentazioni ed ai privilegi offerti dalla libertà.

È indubbio che l’ingresso degli immigrati nei paesi d’accoglienza crei una situazione di maggiore tensione proprio in quegli strati di popolazione in cui diventa molto più difficile sostenere il confronto con la diversità.

C’è da dire, però, che anche se per un’altissima percentuale l’omicidio in nome dell’onore si registra nelle famiglie di immigrati di prima generazione che rifiutano la cultura occidentale, esso non è solo di matrice islamica o induista, ma è un atto tipico delle comunità tribali che vedono i diritti collettivi soppiantati da quelli individuali e la soluzione in ordine a questi reati dovrebbe essere il monitoraggio, una maggiore attenzione alle denunce, la capacità di interpretare i comportamenti nonché il saper individuare i fattori di rischio.

Nel tempo della globalizzazione, dell’interdipendenza e delle migrazioni continue prendono dunque sempre più forma processi di scomposizione, di frammentazione, di scontro e di esclusione, che interessano non solo il territorio sociale, ma anche le forme e le regole della convivenza ed il sistema dei diritti.

Sarebbe quindi opportuno monitorare queste minoranze in cerca di identità e presentare concreti progetti sul territorio con articolazioni di servizi competenti e professionali, al fine di sviluppare una maggiore coscienza civile ed arginare il fenomeno del delitto per motivi di onore, che costituisce un vero e proprio massacro invisibile.

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