Da Tentato omicidio e legittima difesa: un caso pratico di violenza in ambito familiare

Da Tentato omicidio e legittima difesa: un caso pratico di violenza in ambito familiare

di Chiara Penna, Flaminia Bolzan Mariotti Posocco e Ivano Ragnacci

Il presente lavoro affronta un caso del quale ci siamo occupati in qualità di difensori e consulenti dell’indagata ed è stato presentato nella sessione abstract del XXXII CONGRESSO NAZIONALE della Società Italiana di Criminologia tenutosi dal 18 al 20 Ottobre 2018.

Dall’analisi degli atti e dal racconto fornito in modo preciso e coerente in più occasioni dell’indagata, incolpata immediatamente del reato di tentato omicidio ex artt. 56, 575 c.p.  emergeva che dal primo pomeriggio del 4 luglio 2017, il compagno della madre in stato di alterazione dovuta all’assunzione di alcol, avrebbe tenuto un comportamento aggressivo e minaccioso nei confronti delle due donne sia verbalmente che con azioni fisiche.

Nello specifico egli sosteneva senza alcuna ragione che la compagna intrattenesse una relazione sentimentale con un altro uomo ed accusava la figlia di esserne complice

Una volta trovatisi tutti e tre presso l’abitazione dove risiedevano, intorno alle ore 19.00, l’uomo a queste accuse verbali aggiungeva atteggiamenti violenti e toglieva la scheda telefonica dal cellulare della ragazza per impedirne l’utilizzo, minacciandole entrambe di morte.

Continuando ad insultarle nasceva una specie di colluttazione tra i due conviventi e la giovane interveniva in difesa della madre.

L’uomo a quel punto brandiva un coltello da cucina con lama lunga e larga (di quelli utilizzati per affettare) e rivolgendosi alla ragazza minacciava di utilizzarlo contro di lei.

Il tutto si sviluppava nell’arco di qualche ora, pertanto in un arco di tempo apprezzabile, durante il quale le due donne erano sostanzialmente rinchiuse in casa senza poter uscire, perché il cancello del cortile era stato chiuso dall’uomo con un lucchetto.

Questo ha certamente accresciuto il terrore e la percezione concreta del pericolo vissuto dalle due donne, in balìa di un uomo la cui aggressività era certamente potenziata dallo stato di alterazione dovuta all’assunzione di alcol.

Pericolo per la incolumità di entrambe che diventava sempre più evidente nella ragazza che, mentre cercava di raggiungere la porta per scappare, pur sapendo che avrebbe trovato il cancello chiuso con un lucchetto, vedeva la madre stesa sul pavimento della cucina visibilmente provata.

È in quel momento che l’uomo, vedendo la ragazza dirigersi vero la porta, secondo il racconto di quest’ultima, le andava incontro minaccioso e urlante per impedirle la fuga.

Questa è l’ultima immagine che la ragazza ricordava nitidamente pur sottoposta a stimolazione al fine di fare riaffiorare in lei il ricordo della dinamica completa dell’atto; seguono pochi secondi di vuoto ed immediatamente l’immagine successiva dell’uomo con un coltello da tavola “dalla potenzialità lesiva molto minore di quello che (…)  aveva brandito nei suoi confronti” – testuale dall’ Ordinanza di Custodia cautelare in carcere emessa dal Gip – conficcato sul lato destro del petto.

Subito la ragazza, preoccupata per lo stato dell’uomo, gli chiedeva le chiavi per uscire di casa ed andare a chiamare i soccorsi, pertanto, non avendo più l’uso del cellulare si rivolgeva inutilmente a tre vicini di casa, che ignoravano le richieste di aiuto.

Finalmente dopo qualche minuto riusciva ad allertare i soccorsi che arrivavano prontamente.

Questi i fatti.

La difesa ricostruiva il contesto di profondo disagio in cui vivevano le due donne prima dell’evento, vittime certamente di maltrattamenti interpersonali ad opera dell’uomo che, anche sotto l’effetto dell’alcol, deteneva un comportamento abusante attraverso manifestazioni di gelosia, possesso e controllo, purtroppo negato o minimizzato dalla compagna.

Questa escalation di pensieri aggressivi si manifesta in tutta la sua pericolosità nel pomeriggio del 4.07.2017, fino ad arrivare alla violenza fisica, alla quale dopo diverse ore di resistenza, impossibilitata alla fuga, la giovane ha probabilmente – visto il momento di vuoto nel racconto, che si potrebbe ricondurre alla difficoltà di richiamare il ricordo dovuta alla condizione di  disagio non infrequente nelle vittime di reato (in Itinerari di vittimologia,  di E. Tizzani pag. 114, a cura di Giannini e Cirillo, Giuffrè 2012)  e considerato che la stessa presunta p.o. riferiva nell’immediatezza circa un incidente – reagito per mettere in salvo se stessa e la madre da un pericolo concreto ed evidente.

Scelta di entrare in contatto fisico con il pericolo eventualmente compiuta dall’indagata inconsapevolmente, se si valuta la forza e la capacità offensiva della vittima e dell’ “avversario” e che certamente può essere ricondotta, considerata questa dinamica, alla necessità contingente di mettersi in salvo.

Per poter parlare di Legittima difesa ex art. 52 c.p. secondo cui “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”, bisogna infatti analizzare l’atteggiamento psicologico del soggetto agente facendo riferimento alla genesi dell’azione posta in essere.

La prima domanda relativa a quanto accaduto è, dunque, se altre persone, nella media, in una analoga circostanza avrebbero agito allo stesso modo e quindi, se l’azione di difesa commessa eventualmente dalla ragazza sia da considerarsi legittima.

Per tale ragione si rende necessario comprendere se e come la ragazza ha percepito di dover difendere i suoi diritti e quelli della madre, se e come i suoi diritti erano stati percepiti lesi o a rischio e, ancor di più, essi erano stati effettivamente lesi.

Diritti di tutela dell’incolumità che ha certamente percepito a rischio, sentendosi in pericolo per se e per la madre, tanto da attuare per diverse ore un atteggiamento di resistenza, mettendosi di fatto in una condizione di totale passività (Norris 2006) e scegliendo poi la fuga di fronte al pericolo imminente.

La percezione soggettiva di pericolo crescente cui fa riferimento l’indagata nei suoi racconti, nel descrivere l’azione messa in atto dall’uomo, rende assolutamente plausibile la concatenazione di azioni difensive poste in essere dall’indagata, che appare in linea al comportamento difensivo di qualsiasi vittima di crimini violenti, mentre l’azione posta in essere dalla madre appare come una conseguenza di quel che vive una donna vittima di maltrattamenti.

Per “sindrome da maltrattamento” (Baldry 2014, Burgess 2003, Walker 1978) si fa riferimento alle dinamiche comportamentali e psicologiche messe in atto all’interno di una relazione intima, caratterizzate da un insieme di condotte e atteggiamenti intimidatori e lesivi di natura fisica, psicologica, economica e anche sessuale che ledono l’autostima della persona maltrattata rendendola inerme, impaurita ed in uno stato di costante allerta e di percezione di pericolo.

Questa condizione può essere riscontrata nella madre dell’indagata che ha riferito come durante la relazione fosse costantemente sottoposta a questo stillicidio psico-fisico, senza neanche averne una reale e piena contezza.

Per paura, ma anche nel tentativo di far “funzionare le cose” la signora non ha mai denunciato il compagno prima del fatto per cui è procedimento, ma solo successivamente, ciò a dimostrazione del suo senso di impotenza e isolamento che le hanno fatto percepire come ormai impossibile liberarsi dal suo aguzzino.

La rassegnazione, la disperazione e l’assoggettamento erano diventate l’unico modo per sopportare la realtà tanto che, quando una settimana prima del fatto per cui è procedimento, di fronte ad una nuova violenza fisica e verbale avvenuta alla presenza della figlia, quest’ultima ha cercato di farla ragionare e denunciare tutto alla stazione di polizia più vicina, la madre si opponeva fermamente.

Non solo, la convivenza terminava definitivamente solo nel mese di Novembre 2017.

In questa dinamica distorta si inserisce, dunque, la figlia ragazza di indole mite, incensurata, laureata in Economia e musicista diplomata in conservatorio, di corporatura esile e mai convolta in episodi di violenza di qualsiasi natura, orfana di padre e giunta in Italia per stare vicino alla madre solo due settimane prima del fatto.

Non c’è dubbio, pertanto, che la ragazza, trovatasi catapultata in una situazione di maltrattamenti psicologici subiti dalla madre inizialmente e successivamente anche da lei – ad opera di un sostanziale sconosciuto – dopo un atteggiamento conciliatore e volto ad evitare qualsiasi scontro, vistasi inerme di fronte alla ingiustificata crescente violenza, abbia potuto agire e reagire per proteggere la propria incolumità e quella della madre.

Tesi sostenuta dalla difesa in sede di interrogatorio e supportata da consulenza tecnica che ha condotto il pubblico ministero ad avanzare una richiesta di archiviazione della incolpazione inizialmente formulata nei confronti della giovane.

 

 

 

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