Vittimologia come approccio dinamico allo studio del crimine
La Criminologia, nata nel XIX secolo, per decenni si è occupata solo dei reati e dei loro autori ignorando la figura della vittima, che è divenuta oggetto di studio scientifico con grande ritardo: circa negli anni ’40 del XX secolo.
Anche se a parlare per la prima volta in un certo senso delle vittime fu Frederch Wertan (famoso per la sua battaglia contro gli effetti negativi dei fumetti sui bambini), i fondatori della vittimologia dal punto di vista delle ricerca e della teorizzazione sono: Ans Von Enting e Benjamin Mendelson, che rappresentano la prima fase di studio della disciplina.
In particolare, Von Enting individua tre concetti fondamentali al fine di meglio comprendere le origini e le implicazioni del crimine rispetto alla vittima, distinguendo, così, in relazione a fattori socio-demografici e psicopatologici:
- La vittima-criminale, che a seconda delle circostanze può assumere indistintamente il ruolo di autore del reato o di vittima;
- La vittima latente, che ha una sorta di predisposizione ad attrarre aggressori;
- La vittima nata, che mostra una predisposizione generica ad assumere il ruolo della vittima di un atto criminoso;
- La vittima recidiva, avente una predisposizione speciale ad assumere il ruolo di soggetto passivo in relazione allo stesso tipo di reato.
Mendelson, invece, propone uno schema al fine di stabilire il grado di “colpa” della vittima individuando:
- La vittima innocente (es. bambini e incapaci);
- La vittima con colpa lieve o per ignoranza (es. soggetto rimasto ferito in un incidente);
- Vittima volontaria (es. attività pericolose);
- Vittima più colpevole del delinquente (es. soggetto provocatore);
- Vittima con altissimo grado di colpa (es. soggetto che muore a seguito della legittima difesa dell’altro da lui aggredito).
Chiaramente queste distinzioni sono frutto si studi sociologici e psicologici sulla criminalità che non hanno nulla a che vedere con il concetto di colpa da un punto di vista giuridico, poiché concentrati esclusivamente sull’esame della cultura o della subcultura, nonché sull’ambiente sociale del reo.
La vittima, infatti, a partire da questo momento, non è più semplice oggetto della condotta del reo, ma parte integrante di un rapporto dinamico in cui vittima e reo si influenzano reciprocamente.
Il fatto criminoso è interpretato come un evento duale in cui è possibile studiare il comportamento della vittima parallelamente a quello dell’autore.
Nasce così la vittimologia come disciplina in grado di far comprendere come meglio come si costruisce un’azione deviante e come si pongono in essere delle condotte che avranno rilevanza penale.
Tra i più importanti concetti innovativi nelle teorie criminologiche a riguardo vi è sicuramente quello della victim precipitation (Wolfing 1957) che evidenzia come la vittima, con il proprio comportamento, contribuisca o meno alla propria vittimizzazione.
Sostanzialmente la vittima è implicata nella genesi, nella dinamica e nell’esito finale del fatto delittuoso: è stata lei a prendere l’iniziativa, è stata lei ad utilizzare per prima la forza ad esempio contro il futuro assassino ed è stata lei ad innescare il gioco reciproco che ha portato al ricorso alla violenza.
È chiaro come tale concetto non sia da intendere come un modo per attribuire una responsabilità alla vittima per le azioni subite, ma serve ad evidenziare come sia determinante le percezione del comportamento tenuto dalla vittima da parte del futuro autore del reato.
Le azioni della vittima sono in grado di far scattare o meno l’azione del soggetto attivo del reato, neutralizzando o meno il senso di colpa di quest’ultimo, che attribuisce così alla vittima responsabilità o realtà inesistenti.
Il dualismo e l’influenza reciproca che si innesca fra i soggetti coinvolti in questo genere di dinamiche, infatti, ha fatto sì che molte vittime di assassini seriali fossero lasciate libere di andar via, mentre altre, con il proprio comportamento abbiano consentito che la loro condizione di vittima precipitasse.
Non meno importante è la teoria della victim proneness, considerata come una predisposizione a subire i comportamenti altrui a causa di alcune variabili sociali e psicologiche.
La vittimologia, pertanto, partendo dall’idea della interazione tra vittima e vittimizzatore ha consentito il passaggio da un approccio statico nell’ analisi del comportamento criminale ad uno studio che è il risultato di processi di interazione tra soggetti, come avviene per qualsiasi comportamento umano, portando negli anni ad una quantità innumerevole di classificazioni.
Dopo le ricerche sul rapporto autore- vittima, le nuove linee di ricerca si sono concentrate, infatti, sulle situazioni ed il contesto sociale che possono favorire la vittimizzazione, proponendo modelli di vittimizzazione basati ad esempio sullo stile di vita e sull’esposizione al rischio ( Hindeleng, Gottfredson, Garofalo).
Altri studi, invece, partendo dal concetto di attività “routinaria”, pongono l’attenzione sulla grande rilevanza attribuita al comportamento dei gruppi consociati (Cohen, Felson).
Un nuovo filone di studi, invece, evidenzia come non siano né la vittima, né il reo ad incoraggiare il crimine, bensì il luogo (Stark 1987, Deviant Place Theories), poiché il tasso di criminalità risulta molto più alto nei luoghi con alta mobilità di popolazione.
Oggi la ricerca è, invece, maggiormente orientata sull’approfondimento delle conseguenze psicologiche, economiche e sociali subite dalle vittime di un reato, nonché all’individuazione dei corretti interventi al fine di ridurre i rischi di vittimizzazione secondaria, data dalla mancata o inadeguata risposta delle istituzioni.
Infatti, le modalità errate di primo intervento da parte del personale preposto (medici, polizia giudiziaria, legali incompetenti in materia), la cattiva gestione delle attività di indagine, la durata del procedimento penale, gli atteggiamenti dell’autorità giudiziaria e delle agenzie di controllo sul territorio, così come la scarsa preparazione di molti consulenti tecnici, non fanno altro che contribuire alla “carriera di vittimizzazione” del soggetto coinvolto.
Non solo, alla vittimizzazione secondaria rischia di aggiungersi molto facilmente la così detta “vittimizzazione multipla” , che coinvolge tutte le persone che a vario titolo ruotano intorno alla vittima di un reato, cagionando, dunque, una serie di danni di natura psicologica, sociale ed economica di non poco conto.