Satanismo e omicidi rituali in Calabria
Il termine setta, rifiutato da molti capi carismatici, deriva dal latino sequor e dal rafforzativo sector, che significano letteralmente “seguire, andare dietro, accompagnare un maestro”. La secta infatti, non indica separazione ed all’origine definiva le scuole degli stoici, degli epicurei, dei giureconsulti e persino dei cristiani.
Successivamente viene impropriamente collegato al verbo secare (tagliare), per cui la setta diventa, in senso negativo, il gruppo che si stacca da un gruppo più vasto.
Oggi assume addirittura una connotazione dispregiativa per via dell’accostamento immediato al satanismo ed alle congreghe ereticali
Il binomio sette-satanismo è, infatti, anche il risultato di una serie di tragici episodi di cronaca che hanno fatto scalpore, come quello relativo all’omicidio di Suor Maria Laura Mainetti nel 2000, uccisa a Chiavenna da due ragazze che motivarono il gesto in onore del maligno o il caso delle Bestie di Satana, il gruppo di ragazzi del Varesotto condannati per tre omicidi ed un’induzione al suicidio nel nome del Demonio.
Esempi, quest’ultimi, di satanismo “acido”, in cui Satana è un pretesto per dar sfogo alle perversioni anche attraverso l’assunzione di sostanze stupefacenti e distinto dal così detto satanismo “razionalista”, in cui il principe delle tenebre è un simbolo di anticonformismo, edonismo e ribellione da adorare.
Ma la realtà dei gruppi che agiscono sotto l’ispirazione di Satana nel panorama italiano è molto vasta.
Tra i più importanti, solo per citarne alcuni tra i circa 600 individuati da un rapporto del Ministero dell’Interno, troviamo: i Bambini di Satana, la Chiesa di Satana, il Tempio di Satana, la Confraternita Luciferiana, i Figli di Satana, la Setta del Laterano e gli Angeli di Sodoma.
Per quanto riguarda la realtà Calabrese, invece, notizie certe circa lo svolgimento di riti satanici e messe nere sono emerse, negli scorsi anni, a seguito del ritrovamento di tracce in tal senso tra i boschi del Pollino e della Sila, nonché nella zona del Tirreno, evidenziando la presenza di gruppi di ispirazione luciferiana con particolare concentrazione nella provincia di Cosenza.
Il numero esatto dei gruppi non si conosce (così come quello degli adepti) ma certamente fino al 2006 diversi episodi registrati dalla polizia hanno lasciato pensare alla concreta presenza degli adoratori di Satana anche in Calabria.
Tra i fatti che hanno destato maggiore allarme ricordiamo i furti di ostie consacrate nella Chiesa di San Giovanni in Fiore e la denuncia di un contadino della zona testimone di una processione notturna di incappucciati muniti di lumini; tracce di messe nere, profanazioni di Tombe a Cirella e furti sacrileghi nelle Chiese di Belvedere preoccuparono la diocesi di San Marco Argentano e Scalea; nella Chiesa di San Pietro e Paolo in Via XXIV Maggio a Cosenza, vennero bruciati per tre volte i testi sacri e la tovaglia dell’altare e, nello stesso periodo, tracce di sabba notturni vennero rilevate nelle campagne di Cerisano, Monte Cocuzzo, Montalto Uffugo, Pianette di Rovito e Bonifati; a Cassano due episodi: vennero profanate alcune tombe dell’800 e le ossa dei defunti cosparse di escrementi, mentre dei resti umani vennero ritrovati vicino ad un falò spento; in ultimo, resti di sacrifici di animali vennero rinvenuti in una Chiesetta sconsacrata a Saracena e misteriosi furti sacrileghi furono registrati nel cimitero di Frascineto.
Ma al di là di questi episodi, la Calabria fu protagonista delle cronache nazionali nel 1988 per un caso in particolare, riconducibile ad un esempio tipico di omicidio rituale verificatosi nell’ambito di un gruppo religioso.
Il 28 maggio del 1988, infatti, venne scoperto il cadavere di un giovane torinese di 27 anni all’interno di una cascina sita nelle campagne di un piccolissimo paesino in provincia di Cosenza confinante con Amantea, Belmonte, Lago ed Aiello Calabro: San Pietro in Amantea.
Protagonista di questa tragica storia fu il gruppo religioso di matrice cattolica denominato “Apostoli di Cristo. Gruppo del Rosario” nato alla fine degli anni ’70 alla guida del quale vi era il capo carismatico Lidia Naccarato. La donna, conosciuta come la Santona, all’epoca dei fatti trentacinquenne, fu nominata successore dello zio Antonio Naccarato, fondatore del gruppo religioso morto nel 1983, poiché ritenuta dotata di poteri sovrannaturali.
Il gruppo, molto conosciuto in paese, era ritenuto un semplice insieme di fedeli così religiosi da portare sempre al collo una coroncina del Rosario e da svolgere intere giornate di preghiera all’interno di una cascina in Contrada Moschicelle.
Ed è proprio dopo due giornate di preghiere e canti, ai quali parteciparono oltre trenta persone, che venne ucciso con 12 colpi di arma da fuoco Pietro Latella.
I colpi non mortali, ma che portarono al dissanguamento l’apostolo traditore, vennero inferti dopo un inseguimento dai dodici Apostoli di Cristo nominati dalla Santona al vertice del gruppo religioso.
Colpa del Giuda fu la sua stessa presenza, che impedì la resurrezione di Cristo e dello Zio Antonio, previste proprio in quelle giornate e per le quali erano giunti in pellegrinaggio diversi seguaci provenienti da Torino e dalla provincia di Salerno, luoghi in cui il gruppo contava centinaia di adepti.
Il corpo del giovane individuato come il Satana traditore, venne trovato in una stanza chiusa da una porta blindata con una fiamma ossidrica al di sopra della quale vi era una corona di spine con 9 croci. Si mostrava vestito di bianco, legato ad una sedia, ripulito e con un gatto sventrato.
Nelle altre stanze gli adepti ballavano, cantavano in cerchio intorno ad un tavolo sul quale vi era la foto dello Zio Antonio e della Madonna, si tenevano per mano e dipingevano sui muri simboli mai spiegati, mentre la Santona appariva in stato di trance distesa su un letto vestita di bianco e con in mano una coroncina del rosario.
All’interno della cascina furono rinvenuti armi di ogni tipo, denaro e gioielli probabilmente donati alla Santona nonché foglietti con canti e simboli che avevano come unica protagonista Lidia Naccarato: la “stella” da seguire nelle tenebre ed in grado di intercedere con i santi, tanto da aver sventato diversi attentati e catastrofi.
Tutti i membri del gruppo del Rosario furono processati, compresi i dodici apostoli, ma solo tre di loro e la Santona furono condannati per l’omicidio del giovane giunto da Torino al fine di trasferirsi definitivamente in Calabria poiché nominato Apostolo di Cristo.
La giustizia li ritenne, infatti, pienamente capaci di intendere e di volere poiché: “…l’esaltazione sentimentale ed emotiva non era tale da turbare l’equilibrio psichico fino al livello psicopatologico”.
Un caso unico nel panorama italiano quello del Gruppo del Rosario di San Pietro in Amantea: un esempio di omicidio per induzione in cui un leader carismatico fa leva sulle menti degli adepti così come accadde per i membri della “The Manson family” a Los Angeles nel ’69.
E quanto accaduto resta ancora un fatto unico nella Criminologia Italiana, poiché si è di fronte ad un gruppo religioso di matrice cattolica che nel prefigurarsi il ritorno del Cristo e dello Zio Antonio, definisce se stesso attraverso pratiche esoteriche che finiscono per avvicinarlo al demonio che va combattendo e per il quale non si esclude la presenza, ancora oggi, di qualche seguace in “naftalina”.