I pericoli della rete: la diffamazione attraverso l’uso dei Social

I pericoli della rete: la diffamazione attraverso l’uso dei Social

Lo sviluppo tecnologico ha ormai da tempo modificato il metodo di raccolta di dati e informazioni, ed ha fatto sì che le attività umane svolte quotidianamente fossero sostituite da implementazioni digitali e database informatici.

Ciò ha consentito all’informazione di svincolarsi dal supporto, facilitandone non solo la riproduzione del contenuto, ma anche la portabilità ed il trasferimento.

Lo scambio dei dati in digitale, inoltre, è oggi potenziato ovviamente dalla facilità di accesso alla rete.

Il connubio informatica/internet, però, se da un lato ha offerto ampie possibilità di crescita alla società migliorandone gli scambi economici, commerciali e culturali, dall’altro ha provocato il passaggio di tutte le attività sociali, lavorative e di svago in rete.

Se tutti gli interessi si sono spostati ed incrementati attraverso internet, di conseguenza, anche le attività illecite si sono evolute e adattate secondo questa nuova realtà, facendo sì che i reati informatici diventassero il risvolto negativo dello sviluppo tecnologico informatico.

L’esigenza di regolamentare le nuove forme di condotte illecite non è comunque certamente recente, infatti, la prima vera Legge contro il fenomeno è la n. 547 del 1993, che ha visto introdurre i c.d. crimini informatici nel codice penale.

Nonostante le statistiche comprovino come tra i reati commessi sulla rete, emerga la diffamazione, il legislatore, non ha avvertito, però, l’esigenza di integrare o modificare la disciplina dei reati contro l’onore con una fattispecie ad hoc; pertanto tutte quelle condotte diffamatorie commesse a mezzo web, vengono fatte rientrare nella norma di chiusura di cui all’art. 595 co.3 c.p. nella parte in cui si parla di “altro mezzo di pubblicità”.

L’ art. 595 del codice penale, recita: “Chiunque, fuori dai casi indicati nell’articolo precedente comunicando con più persone, offende l‘altrui reputazione, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa sino a euro 1032.

Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2065.

Se l’offesa è arrecata col mezzo della stampa, o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.

Se l’offesa è recata ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.”

Ai fini della sussistenza dell’elemento psicologico nel delitto di diffamazione basta, dunque, la semplice volontà di utilizzare espressioni offensive con la consapevolezza “di poter offendere” (dolo generico) e questo tipo di atteggiamento psicologico, in sede istruttoria, sarà rilevato direttamente dalle frasi pronunciate (o scritte) e dal significato delle singole parole oggetto di diffamazione.

La diffamazione on line può compiersi, dunque, mediante il mezzo della stampa telematica, mediante blog o siti internet, mediante posta elettronica o attraverso social network.

Nella percezione normativa consolidatasi, internet costituisce, infatti, proprio un mezzo di pubblicità, in quanto idoneo e sufficiente affinché una notizia o una espressione diffamatoria raggiunga una pluralità di soggetti.

Si pensi ad esempio, ad una frase offensiva espressa in un forum o in un messaggio inviato mediante posta elettronica ad una pluralità di soggetti.

In questo ultimo caso, ovvero in tema di diffamazione mediante posta elettronica, è intervenuta già da tempo la Corte di Cassazione, sottolineando che anche se le comunicazioni diffamatorie non sono percepite simultaneamente dai destinatari, il reato di diffamazione è da ritenersi integrato dovendosi ritenere irrilevante l’intervallo di tempo più o meno lungo tra l’una e l’altra comunicazione, poiché risultano comunque prodotti i medesimi effetti della diffamazione.

Per poi individuare quale potere ha l’autorità giudiziaria italiana in merito a casi di diffamazione su siti che si trovano all’estero, è essenziale ricordare la sentenza n. 4741 del 27 dicembre 2000, con la quale la Suprema Corte di Cassazione si dichiarava favorevole alla applicabilità della legge italiana in un caso di diffamazione a mezzo internet pur se avvenuta da parte di un sito ubicato all’estero.

La Corte, infatti, citando l’art. 595 c.p., spiegava come fosse la stessa formulazione normativa a prevedere ciò, laddove indicava la consumazione coincidente con la percezione del messaggio pubblicato sul sito, da parte di più soggetti estranei all’agente ed al soggetto offeso. Dunque, essendo stato appreso il contenuto della diffamazione in territorio italiano, la tutela alla persona offesa doveva essere assegnata ad un giudice italiano.

La medesima sentenza stabiliva inoltre come la diffamazione on line fosse stata attuata con “altri mezzi di pubblicità” e come perciò vi dovesse essere sovranità dello stato italiano, in quanto l’offesa era stata percepita in Italia pur se generata all’estero (o generata anche in Italia ma diffusa mediante sito collocato all’estero).

Stessa tutela è prevista in caso di espressioni lesive dell’onore e del decoro altrui pubblicate sui social network.

Essi, infatti, consentendo la comunicazione con più persone attraverso il meccanismo della condivisione, generano una diffusione incontrollata delle informazioni e, nello spazio virtuale in cui si diffonde il pensiero dell’utente, permettono a quest’ultimo di entrare in relazione con un numero potenzialmente indeterminato di soggetti.

È quanto chiarisce la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione già con la sentenza del 16 aprile 2014 n. 16712 stabilendo che la pubblicazione di una frase offensiva su di un profilo Facebook: “…rende la stessa accessibile ad una moltitudine indeterminata di soggetti con la sola registrazione al social network ed, anche per le notizie riservate agli «amici», ad una cerchia ampia di soggetti”.

Postare un messaggio diffamatorio sul proprio profilo integra, dunque, il dolo previsto dall’art. 595 c.p., il quale richiede la semplice “volontà che la frase giunga a conoscenza di più persone, anche soltanto due”.

Inoltre “…ai fini della integrazione del reato di diffamazione, anche a mezzo di Internet, è sufficiente che il soggetto la cui reputazione è lesa sia individuabile da parte di un numero limitato di persone indipendentemente dalla indicazione nominativa”.

Sulla base di quanto sancito dalla Suprema Corte, la diffamazione a mezzo Facebook implica, per tale ragione, le medesime conseguenze applicative della fattispecie concernente la diffamazione a mezzo stampa.

Ciò poiché gli effetti negativi connessi a condotte diffamatorie poste in essere via web possono addirittura essere molto più gravi e irreparabili rispetto ai danni cagionati dalla tradizionale condotta lesiva, tanto da estendersi e causare danni a cascata.

È ad esempio il caso di affermazioni che, denigrando le qualità commerciali o professionali di un soggetto, cagionano la perdita di clientela e di guadagni, o ancora della divulgazione di informazioni negative riguardanti aspetti della vita della persona offesa in grado di pregiudicare il posto di lavoro, vista la quantità e la qualità dei soggetti destinatari di tali narrazioni.

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